Correva l’anno 1947 quando la prima automobile stradale Maserati, chiamiamola pure granturismo, gittì per gli intenditori, la A6 1500, iniziava a rombare anche sull’asfalto di tutti i giorni, oltre che su quello delle piste.
Dieci anni più tardi, con la 3500 GT, quel concetto veniva saldamente ancorato al marchio del Tridente e da lì prendeva vita una tipologia di vettura sportiva che non ha mai smesso di affascinare i gentleman driver del mondo intero. In copertina e tra qualche pagina avete ammirato e leggerete di questo nuovo straordinario passo compiuto dalla storica azienda modenese, che accanto alle versioni con il tradizionale motore endotermico, battezzate Modena e Trofeo, propone la Folgore. Un esempio tutto italiano di gusto e tecnologia sopraffina, con numeri espressi che fanno sudare qualche concorrente tedesco, soprattutto alla prova della bilancia. Questa ennesima coupé della Maserati, ma continuiamo a chiamarla gittì, sancisce il raggiungimento di un nuovo straordinario traguardo per il marchio e per le granturismo italiane. Come lo stesso d’altronde accade con la Ferrari Purosangue, finalmente svelata nelle sue forme definitive e che ha letteralmente mandato in visibilio tutto il mondo degli appassionati che sì, si sarebbero aspettati un capolavoro dalla mano fatata di Flavio Manzoni, ma forse non se lo sarebbero immaginato così tremendamente sexy e con dati tecnici, anche in questo caso, in grado di spazzare la concorrenza. Altro che Ferrari suv, ma va là. Per non parlare della Utopia di Pagani, altro fulgido esempio di quanto la Motor Valley sia in grado di esprimere, pur con un “cuore” dai natali germanici, in termini di eccellenza assoluta. Che l’auto italiana, insomma, viva ancora, nonostante tutto, improvvise esplosioni di gloria ce lo dice l’attualità. Pensate alla rinascita del marchio Isotta Fraschini, che andrà a muso duro a duellare sulle piste di endurance, a partire proprio dalla 24 ore di Le Mans, con la appena svelata Ferrari 499P. Pensate alla Lancia, in procinto di risorgere. Eppure, purtroppo, non allo stesso modo va per l’editoria e a farne le spese ancora una volta è proprio questo straordinario magazine, AutoItaliana. Che, come già accadde nel lontano 1969, si mette in pausa. Chissà, magari momentaneamente. Fino a qui è stato un viaggio unico e indimenticabile. Grazie a ciascuno di voi per aver condiviso questo sogno.
Pomigliano, 20 giugno 2022. È questo il giorno in cui, con l’entusiasmo dei ragazzini, varchiamo i cancelli dello storico stabilimento Alfa Romeo alle porte di Napoli, con un obiettivo preciso: costruire un esemplare “blu Misano” della Tonale. La prima suv compatta ibrida che segna un nuovo punto di inizio per il marchio italiano. Va bene, per non mettere un carico di ansia ai numerosi proprietari che ne hanno ordinato un esemplare, magari proprio blu Misano, confessiamo che in verità il nostro giornalista ha solo seguito passo passo l’intero processo costruttivo dell’ultima nata in casa Alfa Romeo, governato e supervisionato però, come dev’essere, dagli abituali responsabili di area. Perché è soprattutto sulla qualità che si sono concentrati gli sforzi costruttivi del primo nuovo prodotto del Biscione dall’ingresso nell’orbita di Stellantis. Un tema su cui sia il ceo del gruppo Carlos Tavares sia il boss del marchio Jean-Philippe Imparato hanno ripetutamente messo l’accento: “Alfa Romeo è una perfetta combinazione di emozione con attenzione al dettaglio, passione con tecnologia, passato con futuro”, dalle parole di Tavares; “Qualità e fedeltà del cliente sono per noi sempre al primo posto”, gli fa eco Imparato. La squadra è forte e affiatata, il team di lavoro quanto mai solido. C’è elettricità nell’aria, come sotto i cofani. L’aspettiva è alta per questa nuova ripartenza. Che abbiamo voluto celebrare, oltre che assemblando un esemplare della prima ibrida “con le nostre mani”, appunto, chiedendo anche al responsabile dell’exterior design della Tonale, Alexandros Liokis – con cui condivido una personale passione extra Alfa Romeo, ma questo è un altro tema – di disegnare la copertina del numero Estate 2022 di AutoItaliana, proposta per la prima volta in questi quasi tre anni dalla nostra rinascita in una doppia variante di colore. I collezionisti sono avvisati. Sempre a proposito di artisti, vi segnalo la meravigliosa storia di Alessandro Rasponi, magistralmente raccontata dalla penna di Matteo Sartori, e che i più attenti riconosceranno come l’autore della copertina con soggetto Gilles Villeneuve d’inizio anno. Al pari della commovente favola di Giorgio Terruzzi a tema “collezioni a premi per ragazzi” di metà anni 60, uno spassosissimo tuffo nel passato che ci proietta in un mondo in bianco e nero di cui fatichiamo oggi a riconoscere i contorni. Un mondo fatto di bellezza e di “dolce vita”, come quella del noto industriale Ferruccio Lamborghini che, in quei tempi, si dilettava a bordo di un particolarissimo Riva Aquarama, su cui abbiamo avuto il privilegio di salire per una cavalcata tra le onde del Lago d’Iseo.
Sveglia all’alba, profumo di olio e benzina, panorami mozzafiato, adrenalina a fiumi. L’abbraccio del pubblico ovunque, sorridente e caloroso. La 1000 Miglia è unica e ineguagliabile. Vuoi perché la gara si snoda lungo le strade del Paese più bello del mondo, vuoi perché solo in Italia può accadere che circa settecento tra i più importanti collezionisti di auto storiche al mondo si prendano a sportellate per essere ammessi alla sua rievocazione. Quest’anno siamo alla 40a edizione, contro le 24 della Coppa 1000 Miglia, la corsa originaria di velocità, disputata tra il 1927 e il ’57 e nata per volere di quattro giganti del motorismo. In rispettoso ordine alfabetico: Giovanni Canestrini, Renzo Castagneto, Aymo Maggi, Franco Mazzotti. Uomini che hanno reso il marchio della Freccia Rossa un simbolo del Paese e consacrato alcuni dei suoi vincitori e protagonisti al ruolo di icone immortali. Tipo quel Nuvolari e i suoi sorpassi nel buio, oppure Moss e il suo record che fa ancora strabuzzare gli occhi, o ancora Portago e la sua Ferrari che ebbero un destino maledetto per le corse di velocità su strada, e ancora Ascari, Biondetti, Castellotti, Fangio, i fratelli Marzotto per dare un’ultima pennellata di colore sul passato che troverete ben raccontato tra le pagine di Auto Italiana riprodotte poco più avanti. Oggi “la 1000 Miglia è una piattaforma di comunicazione straordinaria”, per dirla con le parole di Alberto Piantoni, prima di tutto alpinista appassionato e da sei anni in vetta all’azienda che governa “la corsa più bella del mondo”, detta questa volta con le parole del Drake. Archiviate le restrizioni pandemiche, nel ’22 si riparte a tutto gas e con rinnovate ambizioni. Da Brescia a Roma a Brescia, tornano a sventolare in numero impressionante le bandierine rosse che caratterizzano uno degli eventi più significativi del Paese. In questo volume celebrativo di questa meravigliosa manifestazione, AutoItaliana ha voluto approfondire che cosa ci riserverà il futuro parlando sia con il presidente di Ac Brescia Aldo Bonomi sia con la presidente di 1000 Miglia Srl Beatrice Saottini. Ma abbiamo voluto incorniciare i ricordi anche di chi ha messo dieci sigilli su questa gara, il pluridecorato Giuliano Canè. E poi carezzare in un viaggio virtuale i luoghi patrimonio Unesco toccati dalla Freccia Rossa. Abbiamo inoltre voluto rivelarvi i segreti di come si disegna il percorso della gara, anno dopo anno, e raccogliere le testimonianze di chi, ancora vivo, ha nella mente lucidi i fotogrammi della 1000 Miglia di velocità. Oggi questo avvenimento è un mix unico di passione, glamour, cultura e storia. Negli anni hanno preso il via celebrità da ogni angolo del pianeta e provenienti dai mondi più svariati: cinema, spettacolo, sport, musica e altro. Perché la 1000 Miglia è unica e ti resta dentro per la vita. Un acquerello dell’Italia più bella che si imprime per sempre nella memoria di chiunque abbia la fortuna di correrla almeno una volta.
Un’Alfa Romeo, una Ferrari e una Lancia, che c’entrano però poco o niente con Arese, Maranello e Chivasso, sono interpreti avanguardiste di questa copertina del numero 11 di AutoItaliana. Sono quasi dei cloni. Delle replicanti, anzi. Vediamo di capirci di più. In un’epoca in cui l’automobile è, come mai prima in oltre 130 anni di storia, oggetto di una radicale trasformazione – e non solo ecologica, beninteso – registriamo la nascita di fenomeni inediti. Mutuando termini cari alla fantascienza, è quasi come iniziassero a essere avvistati sulle strade sorte di androidi, cyborg o replicanti appunto. Esseri meccanici ispirati a qualcosa di “esistente”, ma in realtà artificiali. Insomma, cercando di rimettere i piedi per terra, è quasi come se in un mondo dell’automobile che guardando avanti non ci porta a intercettare prospettive granché incoraggianti o rosee – e questo è anche un po’ figlio dell’umana atavica resistenza al cambiamento – trovassimo invece conforto nel riconoscere forme e concetti a noi cari, che riconducono al passato. E così quelle strane Giulia GT, Testarossa e 037 reinterpretate ci donano benessere. Ci ispirano. Riattivano la nostra passione, persino. Qualche settimana fa chiacchierando con l’amico designer Carlo Ludovico Borromeo, autore delle linee della Lancia Delta Futurista di Eugenio Amos – soggetto di copertina del n. 4 di AutoItaliana – ci siamo trovati concordi nel pensare che è sempre all’alba delle imminenti rivoluzioni che si registrano picchi di grande decadenza. Anticipatori però di floridi periodi di rinascita, solitamente. Pensate al post Medioevo. Ancora oggi è vero nascono automobili straordinarie, basti uno sguardo alla produzione della Motor Valley – la SP3 Daytona è l’esempio per tutti! – però registriamo una moltitudine di esercizi che sono legati a doppio filo alla tradizione, alla nostalgia, alla voglia di riassaporare emozioni di ieri attualizzate con la tecnologia di oggi. In estrema sintesi: se quello che di nuovo ci propone il mercato non è esattamente ciò che desidera l’appassionato, ecco allora le restomod, oggetti con il carisma delle icone del passato però resi moderni, eccitanti e godibilissimi, per diventare oggetti di culto contemporanei. Appassionatevi approfondendo le storie straordinarie della Totem GTSuper di Riccardo Quaggio, della Kimera Evo37 di Luca Betti e della Testarossa di Officine Fioravanti. Ne rimarrete affascinati. “The Eightes are back and they are faster then ever”, si legge tra quelle righe. Certo, sempre aspettando un nuovo Rinascimento.
Sono spietate le regole per guadagnarsi l’immortalità nella F.1. Occorre aver dimostrato un talento soprannaturale, ma questa è la parte più comune, aver dato spettacolo incantando le folle con acrobazie al limite dell’umana immaginazione – e spesso anche del savoir faire – e, in ultimo, aver fatto una brutta fine. Quanti nomi ci saltano alla mente. Non li elenco qui perché non è questo il tema e per non far torto a nessuno. Ricordo ancora come fosse ieri l’8 maggio 1982. Avevo 11 anni e già all’epoca mi era capitato di bazzicare l’Autodromo di Monza. Sin dai tempi in cui correvano le Tyrrel P34 a sei ruote, come dimenticarle. Insieme alle Lotus John Player Special e alle Ferrari, naturalmente. Su di me, come su gran parte dei fan del Circus dell’epoca, quel giovane sconosciuto venuto dal Canada, con la faccia buona, i modi gentili e un piede che più pesante non si può, arrivato per sostituire il gigante Lauda, sortì un effetto seduttivo mai provato. Gilles era Gilles. Il prediletto. Lo era soprattutto per Ferrari, che non era solito lasciarsi andare a debolezze nei confronti dei piloti, ma che per lui, dopo l’iniziale freddezza, ebbe un moto d’affetto e d’ammirazione mai visti e mai più replicati. Il Drake arrivò a paragonare Villeneuve a Nuvolari, ritenendolo il suo erede naturale, insomma il più grande tra i grandi. Impossibile dimenticarlo. Impossibile non dedicargli la prima copertina con un volto umano di AutoItaliana che, al suo numero 10, vuole lasciare impresso un ricordo del gigantesco campione, il cui nome torna d’attualità con la nascita del quinto figlio di Jacques che omaggia la memoria del papà a 40 anni spaccati dalla scomparsa. Noi abbiamo messo in fila una serie di contributi di colleghi anch’essi fuoriclasse, imperdibili per chi a Villeneuve ha voluto bene e lo porta ancora dentro di sé. Un grazie di cuore va da parte mia allo straordinario Alessandro Rasponi, che ha un’umanità fuori del comune, e una capacità rara con il pennello. Il suo ritratto di Gilles in copertina è un’opera unica, inedita, straordinaria. Lo specchio del suo talento. Torneremo presto a parlare di lui. Le altre storie di questo numero trattano poi della solida collaborazione tra Aston Martin e Zagato, prolifica ancora oggi. Tornando al mondo delle corse, abbiamo fatto un’incursione alla tappa di Monza del Wrc per raccontarvi il mondo del rally contemporaneo, abbiamo registrato il battito di Tomaso Trussardi alle prese con una Ferrari 488 GTE su un impegnativo circuito di F.1 e, per chiudere, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Rebecca Busi, la più giovane italiana ad aver disputato la Dakar Classic. Ancora in tema di fuoriclasse abbiamo voluto ricordare Pio Manzù, appena spenti i riflettori dello scorso anno sui 50 anni della sua 127. Abbiamo ripercorso le gesta della storica Osca, nata per volere dei fratelli Maserati e magistralmente raccontata dall’amico Carlo Cavicchi. E abbiamo infine trascorso qualche ora con Massimo Bottura. Istrionico talento nel sedurre gli astanti, non soltanto creando sogni per i loro palati.
Nella redazione di AutoItaliana può succedere anche questo. Come ogni giorno, apri la casella di posta e trovi una email così: “Buonasera Direttore, Le scrivo per congratularmi circa le qualità del suo periodico. È, a mio avviso, unico nel suo genere. Una sorta di manifesto alla bellezza del prodotto ‘Made in Italy’ (…). Ho apprezzato come Lei abbia voluto approcciare con il nuovo prodotto editoriale al genio creativo della nostra industria automobilistica. Il primo numero mi fece capire dalla immagine di copertina la sua sensibilità alla purezza delle linee di Pininfarina, con quella che per me è l’icona delle berlinette. Acquistai una Dino 246 GT per il mio quarantesimo compleanno. Mi innamorai perdutamente del suo fascino e, pur non molto guidabile, dopo un integrale restauro, percorsi con lei molti chilometri. Poi accadde che mi imbattessi in una F40. Ne fui folgorato. Era una delle prime (telaio n. 19), non catalitica... ne produssero 32, con i retronebbia in griglia, vetri delle portiere scorrevoli in lexan, cinture a 4 punti, appartenuta al Cavalier Mandelli (alla sua holding). Apprezzando le sensibilità dimostrate da AutoItaliana verso le icone del motorismo italiano, sono a mettere a disposizione questa vettura, laddove fosse di Suo interesse, per un servizio fotografico e un approfondimento su quella che resta l’ultima Ferrari costruita e voluta dal Commendatore”. Naturalmente, mai saremmo stati capaci di lasciar cadere nel vuoto queste parole, lo avete già capito dal soggetto di copertina. Però, come ci sforziamo di fare per ogni fascicolo di questo prezioso trimestrale, abbiamo voluto metterci qualcosa in più. Così, quando abbiamo deciso di cogliere l’opportunità, abbiamo prima fatto una telefonata a Pietro Camardella – per chi non lo ricordasse, è l’uomo che nel 1986 ha definito lo stile della hypercar celebrativa del 40° della Ferrari – e lo abbiamo coinvolto nel nostro viaggio, portandolo con noi a vivere questa esperienza mistica. Un viaggio che leggerete nelle parole allineate con poesia da Carlo Di Giusto, che ha dato forma e sostanza a questo tributo. Naturalmente non abbiamo nemmeno resistito alla tentazione di chiedere a Camardella di (ri)disegnare la sua F40 per la copertina. E così è stato. Quindi, conservate con cura questa copia di AutoItaliana, perché un domani sarà contesa tra i collezionisti. Un omaggio al design italiano lo abbiamo reso anche ricordando l’incredibile talento di Giovanni Michelotti e la sua ineguagliabile prolificità, ammirabile dal vivo, volendo, alla mostra appena inaugurata al Museo dell’Auto di Torino, che sarà aperta sino a gennaio. Altra esperienza toccante è il percorso visivo e sensoriale che vivrete sfogliando le pagine dedicate allo chalet di Claviere, alle porte di Torino, di proprietà della famiglia Bertone, dove Nuccio ha riunito uomini di grande creatività e concepito i progetti più importanti del suo percorso industriale. Ovviamente, nel numero c’è molto di più. E non voglio sottrarvi altro tempo. Solo un’ultima nota. Mesi prima rispetto al proprietario della “folgorazione rossa” F40, ricevetti un’altra email di un anziano collezionista romano, trapiantato da una vita al Nord. Si chiama Fabrizio Castellani. È un collega e ha trascorso il suo praticantato giornalistico negli anni 60 proprio nelle fila di Auto Italiana, di cui per anni è stato firma e inviato. È probabilmente l’ultimo sopravvissuto del team originario del giornale. Ed è per noi un gigantesco onore riaverlo come firma tra queste pagine. Leggete la sua intervista a Mario Righini, è imperdibile.
24 giugno, Arese, Museo Storico Alfa Romeo, Sala Giulia: Jean-Philippe Imparato, Ceo francese di Alfa Romeo, con lontane origini nel Bel Paese, apre le celebrazioni per il 111° anno del marchio e la cerimonia di consegna dei primi esemplari di Giulia GTA e GTAm scandendo in un eccellente italiano: “Sto aspettando questo momento da 40 anni” e prosegue “sono nato su una Giulia azzurra nel 1966, so che cosa vuol dire Alfa Romeo”. Chissà. Forse è arrivato davvero il momento di proiettare definitivamente il più potente marchio italiano, in termini di heritage e di fan, verso lo spazio. La solidità del nuovo gruppo, i vertici totalmente rinnovati e con un mix inconsueto di passaporti (è di fine giugno la notizia del nuovo chief designer spagnolo Alejandro Masonero-Romanos, già strappato da De Meo a Cupra per Renault e ora, con un doppio carpiato, a capo dello stile del Biscione). Siamo in fervente attesa di assistere alle prossime mosse. Di rivedere questo potentissimo blasone, e di conseguenza l’Italia, in vetta al mondo: “Con la tecnologia di oggi avrei potuto guidare il marchio da Parigi”, dice sempre Imparato, “ma mentre io sono qui a divertirmi con voi, mia moglie sta finendo il nostro trasloco a Torino”. E così via le coperte Goodwool dalle Giulia GTA e GTAm per le prime consegne. Sorrisi e brindisi. Si fa festa. Tutti insieme, uniti in un tifo stile Wim-Wem tre settimane prima, per la definitiva rinascita di questo marchio eccellente. “Non mi interessano i volumi”, confida il boss di Alfa Romeo, “conta la marginalità, non ci sarà più un marchio del gruppo Stellantis che non si concentrerà su questo”. Varrà lo stesso per Lancia? I presupposti ci sono, leggete a pag. 30. L’Italia sulla vetta del mondo e anche più su, allora. D’altronde, di esempi di incredibili storie di connazionali ardimentosi ne trovate almeno un altro paio in questo AutoItaliana. Quella di Cesare Fiorio, da tutti ricordato come il mago delle corse e dei rally, ma di cui forse non tutti hanno nella mente una delle imprese più eroiche, andate in scena 29 anni fa quando, solcando l’Atlantico a una velocità inaudita, il Destriero ha messo lì un record che forse nessuno mai riuscirà a infrangere. Oppure come un’altra impresa, che ha il profumo della leggenda: quella di Gianmaria Aghem, imprenditore con il pallino delle gare, che a 70 anni, nel 2018, ha messo in tasca un primo posto al Rally Monte Carlo Historique e poi nel 2021 ha voluto stabilire qualche record mondiale di velocità con un razzo a propulsione elettrica sulla pista di Nardò. Insomma, ci ha mai spaventati guardare il mondo dall’alto?
Neanche a dirlo, fu Enzo Ferrari a dare per primo una spiegazione sul perché delle origini della Motor Valley, come ci spiega lo scrittore Luca Dal Monte a pag. 42. “Una terra di rivoltosi, di gente non tranquilla. Sangue e cervello insomma sono qui ben uniti per fare tipi di uomini ostinati, capaci e ardimentosi, le qualità che ci vogliono per costruire bolidi”, sosteneva il Drake. Questo volume extra di AutoItaliana è una celebrazione di quella porzione del nostro Paese che, nei circa 250 km lungo la dorsale che si snoda da Piacenza a Rimini, toccando Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Forlì, Cesena, racchiude quanto di meglio si possa immaginare in tema di ingegneria automobilistica, meccatronica, componentistica, design, tecnologia e molto altro ancora, condite con passione e antico saper fare. Sangue e cervello, appunto. Non occorre allineare qui i nomi di tutte le aziende di questo spicchio d’Italia. Basta attivare la mente e si materializzano le forme. Quei bolidi. Rossi, multicolore che siano. Questa terra è intrisa di passione, di Made in Italy alla sua massima espressione. “Il sostegno alla Motor Valley fa parte del nostro più ampio piano di supporto agli eventi del settore che si sono tenuti e si terranno in Emilia Romagna, una regione che, da sola, fa il 14% dell’export nazionale”, ha dichiarato ad AutoItaliana il presidente dell’Ice, Carlo Ferro, che su questo territorio, insieme al ministro Di Maio, ha fatto “all in” per lo sviluppo del brand Italia. Il futuro, ne siamo certi, darà loro ragione. Questo monografico è un viaggio nel cuore di questa regione. Tracciando i profili di diciassette personaggi, donne e uomini, che oggi agitano la Motor Valley (il diciottesimo, Benedetto Vigna, neo ad della Ferrari, ha pagine bianche tutte da scrivere). Celebrando alcune delle realtà più rappresentative, raccontandovi un pezzo di storia e di vita di questa terra, dispensandovi la buona notizia che qui, anche in epoca post pandemica, si trova lavoro perché c’è sempre da fare. I paragoni con la Silicon Valley si sprecano. Ma questa valle, che poi è morfologicamente piatta e punteggiata di campi, è molto più antica e affonda le radici della tradizione nella terra che, per l’esigenza d’essere resa fertile e coltivata, ha acceso l’ingegno degli uomini. Quelli che poi hanno pensato al muoversi veloce, alle corse e al concepire oggetti meccanici sempre più affascinanti e apprezzati dal mondo. Il Motor Valley Fest, alla sua terza edizione, è il massimo momento celebrativo di tutto questo. Abbiamo voluto esserci anche noi. Il volume da collezione che avete tra le mani è il nostro tributo alla magnificenza di questo territorio.
Lo spiraglio di luce che squarcia il buio di fronte a noi ci fa pensare che sia arrivato il tempo per iniziare a progettare un futuro migliore per questo Paese. Ecco, il tema della rinascita è quello che mi sta più a cuore tra i tanti appassionanti racconti che abbiamo concepito per questo fascicolo Primavera 2021 di AutoItaliana. Lo ritengo particolarmente significativo, perché infonde un messaggio di fiducia e coraggio, di cui abbiamo enorme bisogno, oltre che di concreta visione. Quella che emerge attraverso le interviste raccolte con cinque autorevoli esponenti di altrettanti mondi ‒ architettura, musica, moda, sport, cultura ‒ in cinque delle più rappresentative città del nostro Paese, a loro volta protagoniste: Torino, Milano, Firenze, Roma e Napoli. Le abbiamo unite in un viaggio ideale, percorso al volante di una nuova Fiat 500 elettrica, un’icona italiana a emissioni zero riprogettata per traghettarci nella Green Revolution, che ci ha quindi accompagnati a incontrare l’architetto Benedetto Camerana, presidente del Museo dell’Automobile; Laura Marzadori, prima violinista al Teatro alla Scala; Stefano Ricci, stilista e fondatore dell’omonimo marchio di moda; la velista Flavia Tartaglini, che insieme a Guido Meda ha infiammato le recenti notti di Coppa America con Luna Rossa; e, ancora, lo scrittore e autore Maurizio De Giovanni. Dalle loro parole, che potete anche ascoltare live dai video sul nostro canale Instagram @auto.italiana, cogliamo indicazioni utili per rimetterci in piedi, appunto, e per lasciarci alle spalle la peggior sciagura che ci abbia colpiti dopo la guerra. Un’altra fondamentale celebrazione del Paese, testimonianza preziosa del nostro patrimonio culturale, è il racconto “Giovanni Agnelli”, scritto da Indro Montanelli per il Corriere della Sera e compreso nella raccolta “Gli Incontri” del 1961, che abbiamo l’onore di ripubblicare per commemorare i 100 anni dalla nascita dell’Avvocato e i 20 anni dalla morte del grande maestro di giornalismo. È un privilegio, poi, essere i primi al mondo a raccontare la Dallara Stradale che Tomaso Trussardi si è fatto “cucire su misura” dalla factory di Varano de’ Melegari e di cui l’imprenditore scrive il making of in prima persona. Lo stesso vale per l’emozionante inedito di Luca Dal Monte, dal titolo “La notte che Dio ebbe paura”, che farà parte del seguito della raccolta di racconti Belli e Dannati, in uscita il prossimo anno. Un brindisi, per finire, alla Ferrari, quella di Trento stavolta, per essersi aggiudicata i podi dei prossimi tre anni della Formula 1: abbiamo incontrato Matteo Lunelli, ad del Gruppo Lunelli, per farci raccontare i retroscena di questo importante successo italiano, che ha avuto il suo momento clou a Imola in occasione del GP dell’Emilia Romagna, lo scorso 18 aprile. Allora cin cin, che sia una rigogliosa rinascita per tutti!
Una Jaguar E-Type nera sfreccia a tutta birra nelle tenebre, guidata da Diabolik con Eva Kant al suo fianco. Quella che prende forma dalla copertina di questo numero invernale di AutoItaliana è una straordinaria storia tricolore. Celebra il successo di un rivoluzionario antieroe che è stato capace di appassionare un’intera nazione in un momento di grande fermento e sopravvivere a più generazioni e alle rivoluzioni culturali che si sono susseguite nell’ultimo mezzo secolo. Ancora oggi Diabolik vive in piena salute, è fedele ai suoi “principi” e gode di una popolarità immensa: in piena era digitale, si fregia di 3 milioni e mezzo di copie vendute l’anno. Un mito! Ma torniamo alla E-Type. Quando Angela Giussani, nel 1962, diede vita al personaggio, dovette immaginare un mezzo che gli consentisse di muoversi furtivamente tra le strade della fantomatica Clerville. La scelta ricadde, appunto, sulla mitica coupé inglese. “Ad Angela quell’auto piaceva moltissimo”, rivela Mario Gomboli, storico direttore editoriale di Astorina, la casa editrice del leggendario fumetto, nonché grande estimatore di Diabolik. Dunque, fu scelta per il suo charme: “Nei primi bozzetti, erroneamente, aveva persino il motore dietro...”, continua Gomboli, “all’inizio le Giussani pensavano fosse fatta così!”. Concetto prontamente chiarito. Che la dotazione dovesse poi includere infiniti stratagemmi tecnici e armi nascoste, che neanche la successiva DB5 di 007, lo conferma l’inedita “striscia” scritta da Gomboli e disegnata da Giuseppe Di Bernardo in esclusiva per AutoItaliana, che leggete a pag. 74. Il 2021, oltre a essere il 60° anniversario della E-Type che, come il buon vino, più passa il tempo più sprigiona fascino, è anche l’anno della pellicola Diabolik dei Manetti bros. Doveva debuttare in sala il 31 dicembre 2020, ma il protrarsi della situazione ha determinato il rinvio e, al momento di andare in stampa, non c’è ancora una data. Per farci dare qualche anticipazione sul lungometraggio più atteso dell’anno, che vedrà Luca Marinelli nei panni del ladro in calzamaglia, Miriam Leone in quelli di Eva Kant e Valerio Mastandrea impersonare l’ispettore Ginko, abbiamo però fatto una chiacchierata con il regista Antonio Manetti. Passando dagli antieroi della fantasia agli eroi in carne e ossa, abbiamo rintracciato quasi per magia il quaderno d’italiano e la pagella di Achille Varzi e abbiamo chiesto un suo ritratto in prosa a Giorgio Terruzzi, che del pilota di Galliate conosce anche i lati più intimi, dopo aver scritto “Una curva cieca” (1991) e “L’ombra oscura di Nuvolari” (2010). Da Miki Biasion, invece, ci siamo fatti raccontare il restauro della Lancia Delta HF 4WD più vittoriosa di sempre, ma anche dei tempi mitici del rally. Siamo poi stati a casa di Stefano Domenicali, per scoprire in anteprima pensieri e progetti del nuovo boss della Formula 1. Sempre a proposito di Circus, abbiamo fatto visita alla Scuderia AlphaTauri, che ha messo in bacheca una stagione pazzesca nel 2020, compreso lo storico bis a Monza con Gasly (il primo fu di Vettel nel 2008, in era Toro Rosso). Per chiudere in bellezza, ci siamo affidati alla magica penna di Ronny Mengo per farci spiegare come un altro nostro eroe contemporaneo, Max Biaggi, abbia deciso a 49 anni di entrare nel Guinness dei primati stabilendo il record di velocità su una moto elettrica: 408 km/h. Cose da pazzi. O da eroi, appunto.
Autodromo di Modena, 9 settembre. Nell’irriconoscibile paddock della pista si respira l’aria dei cari bei vecchi tempi. Quattrocento tra Vip e giornalisti, strizzati negli abiti delle grandi occasioni, ma tutti con mascherina ‒ di stoffa, made in Italy e col Tridente ricamato ‒ sono qui per il reveal della MC20. Ci siamo anche noi. La Maserati ha fatto “all in” per questo evento, ricreato in diretta anche a Tokyo e New York. A partire dal palco, monumentale (630 mq di superficie totale) tanto che ci si sarebbe immaginati di veder comparire d’improvviso i Coldplay o piuttosto Ligabue data la zona, con bassi, chitarre e percussioni. Invece no, lo show parte fragoroso con due batteristi abbigliati alla Stig di TopGear che accendono il pubblico impilato e distanziato nelle tribune fronte palco. Sugli immensi schermi a led scorre la maestosa leggenda della Maserati: Fangio, Ascari, la De Filippis, sino ai successi mondiali GT con le MC12 nel nuovo Millennio. E poi i modelli che si sono alternati su strada nella controversa storia del Tridente, dalle A6 GCS alle Ghibli, dalle Merak alle Biturbo e poi le berline e Suv di nuova generazione. Il ceo di Maserati, Davide Grasso, affiancato dai contemplativi John Elkann e Mike Manley, presidente e ceo di FCA, ha condensato la serata in una frase “stiamo ponendo la prima pietra per il nostro domani e lo stiamo facendo insieme, guidati dalla nostra passione, unici per il nostro design e innovativi per natura”. Champagne e tartine by Bottura per tutti! La sintesi della MC20 la leggete a pag. 58 di questo numero d’autunno di AutoItaliana. Un momento di coraggioso rilancio per il Paese, fiduciosi di potercela fare puntando sul nostro impareggiabile patrimonio di stile, buon gusto e talento. Rispolverando, insomma, un pizzico di orgoglio nazionale. Come quello che abbiamo lucidato quando la pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori si è allineata in pista per noi e ci ha aperto le porte della caserma di Rivolto per svelarci i preparativi del “day by day” prima di sollevarsi in volo. O, ancora, quando i cancelli dei tre autodromi che quest’anno hanno ospitato la F.1 si sono aperti per accoglierci tra i cordoli con l’Alfa Romeo GTAm a Monza, con la Ferrari SF90 Stradale al Mugello e con la Pagani Huyara Roadster BC a Imola. Abbiamo voluto celebrare così questi monumenti della velocità e i territori che li circondano. E, ancora guardando con fiducia al domani, siamo andati a conoscere più da vicino tre giovani uomini, nati col peso di dover dimostrare che anche con l’eredità di nomi e cognomi pesanti sui documenti ce la si può fare. Così, almeno, è stato per Ferruccio Lamborghini, Ottavio Missoni e Sergio Pininfarina.
Parigi, Rétromobile. È inizio febbraio, quando vivevamo ancora inconsapevoli dell’incubo che ci avrebbe travolti. Sono allo stand di Michael Kliebenstein, noto agli appassionati per esporre meravigliosi gioielli anteguerra nei principali salotti heritage contemporanei. Michael questa volta non mi parla genericamente di motori, bensì di un libro. Il suo titolo è “SuperFinds”. La storia ha dell’incredibile. Con in mano il primo prototipo di quel volume, Michael una a una mi racconta tutte le auto che vi sono illustrate. Sono perlopiù mostri sacri italiani, fotografati in stato di semi abbandono o a fine vita; risalgono a quando i proprietari, stufi di usarli oppure infastiditi dall’ennesima défaillance, sceglievano di non volerne più sapere. Abbandonavano quelle macchine per strada o le rifilavano per pochi spicci al meccanico di turno o a chi passava per primo. Così, ecco Ferrari 250 GT SWB, TdF, GTO, GTL e via dicendo nude, deturpate, stuprate, lasciate lì ad arrugginire in un angolo. A marcire. C’è l’Alfa Romeo 8C 2900 B Le Mans, che corse a La Sarthe nel 1938 con Sommer e Biondetti, e oggi è al Museo Alfa Romeo, all’epoca dimenticata, ignorata. Ci sono diverse Lamborghini, Cisitalia, Maserati, monoposto e motoscafi con carriere pazzesche che commuovono per le condizioni. C’è addirittura la Triumph TR3, resa immortale da Marcello Mastroianni ne “La Dolce Vita”, adagiata sul tetto dopo un volo pindarico. A raccogliere e archiviare tutte quelle immagini straordinarie fu Corrado Cupellini, grande conoscitore e appassionato di auto che, con i preziosi suggerimenti del Conte Giovannino Lurani ‒ che tra le mille epiche gesta condusse al successo Auto Italiana, leggete a pagina 24 la sua intervista a Enzo Ferrari ‒ sapeva scovare con disinvoltura questi capolavori. La poesia del tutto, orchestrata in musica dallo straordinario senso ritmico di Giorgio Terruzzi, vi addolcirà il tempo leggendo questo racconto. Come accadrà, approfondendo altre storie italiane ricolme di passione. Quella di Eugenio Amos, che dopo aver sorpreso il mondo con la sua interpretazione Futurista della Delta, ora fa sul serio e inizia a consegnare i suoi gioielli ai collezionisti più altisonanti del pianeta. Quella di Kevin Rice, head of design Pininfarina, che ha aderito entusiasta al nostro progetto di celebrazione dei 90 anni della prestigiosa “Carrozzeria”, mettendo al lavoro il suo centro stile per noi. Quella di Fabrizio Buonamassa, designer napoletano, che oggi definisce l’aspetto degli orologi della maison Bulgari. Quella di Federico Bombiero, founder di @Petroltribe, che ha realizzato il contributo speciale del numero interpretando col suo originalissimo tocco le livree di alcune delle monoposto più evocative degli anni 70 e 80. Italiane naturalmente. Quella di Pietro Iurilli, l’amico delle star di Hollywood. Quella di Andrea Mazzuca che, in scia ad altri esempi imprenditoriali coraggiosi, non trovando guanti da guida in sintonia con il suo elevato senso del gusto, ha deciso di far da sé. Concludo con un personale e partecipato ringraziamento a Carlo Ludovico Borromeo, che si è proposto di realizzare la copertina di questo numero estivo di AutoItaliana.
“La storia dell’Alfa Romeo è una storia straordinaria. Fatta di automobili bellissime, di rivoluzioni tecnologiche, di vetture entusiasmanti, di passione, di tanti alti e altrettanti bassi. È la storia di una fabbrica e degli uomini che l’hanno diretta, gestita, riempita, difesa e amata e a volte anche contrastata, poiché certe dinamiche all’Alfa Romeo sono sempre state particolari. Del resto l’Alfa Romeo non è mai stata una casa automobilistica come le altre”. Ecco. Prendendo in prestito queste righe dallo scrittore e collega Luca Dal Monte ‒ le leggete a pag. 74 ‒ introduco il motivo fondamentale di questo rosso vivo di copertina. In un momento così tragico per il nostro Paese, abbiamo voluto creare un volume di AutoItaliana capace di intrattenere e far sognare i lettori, partendo da una storia appassionante. Quella che ha contraddistinto i primi 110 anni di vita dell’Alfa Romeo, un marchio ammantato di leggenda e che ancora oggi annovera entusiasti in ogni angolo del pianeta. Leggerete testimonianze storiche, alcuni passaggi fondamentali della vita del marchio, riapprezzerete qualche nostro contenuto pubblicato oltre 50 anni fa, ma anche qualche fuga in avanti, per capire quali saranno le prossime mosse. Ci sono i “maschi Alfa”, appunto, cioè gli uomini che hanno scritto il destino del marchio, ognuno per la propria epoca con strategie precise e decisioni forti. C’è il ricordo intimo di Matteo Sartori, che del bisnonno Nicola Romeo ha sempre sentito la presenza eterea nella villa di Magreglio, per lui semplicemente la casa della nonna. C’è la storia, a fumetti, della prima gara della F.1, dove tre Alfa Romeo hanno stracciato tutti tagliando prime il traguardo. C’è Bernie Ecclestone, che svela i retroscena di una relazione sofferta; c’è Antonio Giovinazzi, che nella vita più di ogni altra cosa vuole riportare una monoposto Alfa sul podio. Ci sono le strade della 1000 Miglia – deserte, per ovvie ragioni ‒ sulle quali, proprio 90 anni fa, primeggiò una 6C 1750 GS con un tal Tazio Nuvolari. C’è la passione di Axel Marx, IL collezionista del marchio, l’uomo che apostrofa le Ferrari come “le Alfa Romeo dei poveri”. E poi c’è la visione di Klaus Busse, che traghetterà lo stile al domani, appena tornerà il cielo sereno, col vento in poppa della fusione tra FCA e PSA e con al timone il car guy Carlos Tavares. Un urlo di gioia, insomma, nei giorni più tragici della nostra storia recente, per uno dei più riconosciuti e apprezzati patrimoni italiani.
All’età di ventisette anni, Paolo Nespoli non aveva ancora chiaro quale sarebbe stato il suo percorso. La scintilla gliela accese una grande giornalista, Oriana Fallaci: da lì la corsa per la laurea in ingegneria aerospaziale e le prime missioni. L’ultimo lancio in cui è stato protagonista risale a poco più di due anni fa; all’età di sessant’anni è l’italiano più “maturo” a essere stato catapultato in orbita verso la Stazione Spaziale Internazionale. Il fatto ancora più avvincente, però, è che Nespoli è uno dei due connazionali ad aver effettuato missioni sia a bordo dello Space Shuttle sia con la Soyuz. America verso Russia. Ecco, sono le differenze tra i due mondi, il cuore della nostra intervista: dalla fase preparatoria, al lancio, al delicato rientro. Come viaggiare con una vecchia e affidabile Lada, oppure con una prepotente muscle car Mustang. AutoItaliana, ve lo abbiamo anticipato, non ha mai tenuto i piedi solo per terra. Meravigliosa è anche la storia di un altro italiano fenomenale, che a quarant’anni continua a combattere “gomito a terra” contro i più grandi talenti motoclistici del mondo, più giovani di lui anche di vent’anni. Ogni volta che scende in pista Valentino Rossi lo fa da campione qual è (nove titoli mondiali), e dà tutto se stesso per vincere, sempre. Ce lo ha ricordato, di nuovo, ad Abu Dhabi, il 15 dicembre, qualche giorno dopo essersi scatenato su una F1 Mercedes al Ricardo Tormo, facendo impallidire Lewis Hamilton. Con la Ferrari 488 GT3 del team Kessel, la sua prima 12 Ore se l’è vinta a mani basse, insieme al fratello Luca e all’inseparabile Uccio. Primo di classe, terzo assoluto. Eravamo nel suo box, accanto a lui, per raccontarvi il dietro le quinte di questo debutto, che gli spalancherà le porte della più grande competizione endurance della storia: la 24 Ore di Le Mans, forse già nel 2021. Un ultimo aneddoto. Quando ho telefonato a Paolo Paci, un altro campione della penna stavolta (con il suo 4810, si è guadagnato il premio Bancarella Sport la scorsa estate), per chiedergli di dedicare un contributo esclusivo al numero due di AutoItaliana, non ha battuto ciglio e ha scritto un racconto ammantato di storia, sogni e ricordi che vi farà viaggiare con la mente verso incantevoli scenari dolomitici. Lasciatevi cullare, prendetevi il tempo per perdervi tra quelle parole allineate con garbo. Sono italiani come loro, con testa, cuore e talento a rendere unico questo incredibile Paese.
Sono a Maranello, nell’ufficio di Flavio Manzoni, Vice President Design Ferrari. È tarda primavera quando gli anticipo che, dopo 50 anni e in occasione del suo centenario, Editoriale Domus ridarà vita ad AutoItaliana. Non per farne un altro giornale di automobili, non abbiamo aspettato così a lungo per riproporre una formula già consumata. Invece, per interpretare un concetto di stile contemporaneo, in grado di abbracciare il nostro incantevole Paese nelle sue molteplici forme d’arte. L’espressione del gusto italiano applicato alle sue più svariate declinazioni: design, moda, accessori, buona tavola, turismo e, naturalmente, motori. L’automobile è il fil rouge; l’ambizione è di avere un respiro internazionale. Manzoni ha in lancio cinque modelli quest’anno: un’operazione “titanica” per Ferrari, mai affrontata nella storia. Certo, sono progetti avviati tempo fa, ma l’attività del Centro Stile – racchiuso in un’opera architettonica strabiliante, che lui stesso ha contribuito a ideare – è frenetica. Nonostante ciò, un gruppo di giovani talenti, che spende le giornate a concepire le Ferrari di domani, ha aderito con entusiasmo all’idea di realizzare qualcosa di unico per il lancio di questo giornale e ha disegnato la storia dei motori del Cavallino narrata attraverso dieci tavole straordinarie. Una è in copertina, raffigura la Dino 246 del 1969, anno in cui avevamo interrotto il nostro viaggio (leggete a pag. 24). Ma sono molti altri gli interventi magnifici in questo numero. Sempre dal cuore della “Motor Valley”, Giampaolo Dallara si è messo al volante della sua personale Lamborghini Miura, per la prima volta davanti a un obiettivo e ci ha regalato un sorriso incantato. Horacio Pagani ci ha raccontato di quella valigia piena di sogni, e con dentro cinque lettere vergate da Fangio, che lo ha accompagnato dall’Argentina all’Italia negli anni ’80. Roberto Giolito, Head of FCA Heritage e autore delle linee delle Fiat moderne più di successo, ha sintetizzato i 120 anni del marchio torinese in 12 auto e nel racconto dei suoi tre decenni d’azienda. Poi, che fossimo lanciati nella giusta direzione ce lo ha confermato la BMW, che a fine maggio a Villa d’Este ha svelato la “copia” appena ricostruita – in Italia – della Garmisch di Marcello Gandini, star a Ginevra nel 1970 e poi perduta. Ecco questo è AutoItaliana: sarà in edicola a ogni inizio di stagione. È ora di girare la chiave e partire.